Titolare della II cattedra di diritto Civile nell’Università di Macerata, è direttore dell’Istituto di legislazione agraria “Alessandro De Feo” e membro della direzione della rivista “Nuovo diritto agrario”
L'IMPEGNO CIVILE NELLA POESIA DI
ROMOLO LIBERALE
Conferenza tenuta nella sala
municipale di Pescasseroli il 2 marzo
1980 per la presentazione del poema
Fucino mio paese
EDIZIONI DELL’URBE
1981
Assistiamo negli ultimi tempi a un ritorno al mondo contadino. E’ un
richiamarsi ai valori di questo mondo; è un rivivere i drammi, le lotte,
la condizione contadina, attraverso la poesia, la pittura, i films, la
ricerca storica. Da ultimo, e in questo quadro, si colloca la ricerca
storica diretta da Francesco Renda e pubblicata in due grossi volumi col
titolo Campagne e movimento Contadino nel Mezzogiorno d’Italia dal
dopoguerra a oggi (De Donato editore): il primo volume, dedicato alle
monografie regionali, si apre proprio con un saggio di Romolo Liberale
sull'Abruzzo.
Questo ritorno ha una valenza di segno opposto: contiene indubbiamente
elementi positivi (e questi emergeranno notevolmente proprio dalla
poesia di Romolo Liberale), ma contiene anche elementi di forte
equivocità. Esso infatti rischia di significare l'indietreggiare
dell'artista e della studioso di fronte alla complessità del mondo
moderno e il suo affannoso ricercare un aggancio, anzi un ancoraggio,
nella semplicità del mondo contadino; potrebbe far pensare a un rifiuto
del dramma quotidiano, degli orrori che oggi ci coinvolgono tutti, per
rifugiarsi nell'arcadia, nel mito, perché la nostalgia del passato è
fuga nel mito (questo elemento è presente, ad esempio, nell'opera di un
grande abruzzese, in D'Annunzio). Ma soprattutto questa ritorno
dimostra, anzi rischia di dimostrare, di fronte all'immane crisi di
oggi, un'incapacità di conquistare nuovi valori per i quali è necessario
- certo non rompendo con il passato - uno sforzo di ricerca quotidiano,
costante, duro, sofferto silenzioso.
Tale equivocità non è qualcosa di astratto, di teorico.
Per fare esempi concreti: il mito del ritorno era presente - oggi direi
non lo è più - in quel movimento di giovani per la terra che è stato uno
delle caratteristiche del movimento giovanile della seconda metà degli
anni 70 e che politicamente si è tradotto e si traduce nella lotta per
il recupero delle terre incolte; il mito del ritorno è altresì
all'origine di certe ricerche storiche: si pensi a quegli studi sulle
comunità di villaggio pubblicati dall'editrice Jaka Book.
Ebbene, nella poesia di Romolo Liberale non v’è niente di tutto questo.
E non vi è per il semplice fatto che in lui non vi è ritorno, perché non
vi è mai stato allontanamento. Fig1io di contadini poveri, contadino
egli stesso da giovane, Romolo Liberale è restato sempre ancorato alla
realtà contadina. Ed è in questa realtà che egli, autodidatta perché non
aveva la possibilità economica di andare a scuola, ha trovato alimento
per la sua formazione culturale, per l’ispirazione della sua poesia, per
i suoi orientamenti ideali e il suo impegno politico. Nessun ritorno,
dunque. Nessuna nostalgia per il passato perché Romolo Liberale sa cosa è
il passato e soprattutto sa che l’oggi, anche se amaro, è il frutto
delle lotte di ieri; e sa ancora che bisogna fare i conti con l'oggi per
conquistare un futuro migliore.
Consentitemi qualche citazione da Fucino mio paese. Romolo Liberale
Dice:
Ma il tempo a volte
ci chiede di amare quello che non vogliamo.
Il tempo
ricordatelo figli miei
è anche tutto quello che ci portiamo dentro.
Quello che è venuto lo cercammo.
E avremo quello che cercheremo.
E ancora:
Non sono nostalgie i ricordi delle nostre tramontane…
Non lo sono, non possono esserlo. E allora
l'antenna di Telespazio non è il simbolo di una modernità che cancella i
valori del passato, che cancella una storia di drammi e di lotte, ma il
simbolo di un'emancipazione che riconquista antichi valori. Così:
I santi che aiutarono i nostri padri a piegare la schiena
ora sono desti e guardano trattori rumorosi
correre su asfalti che non conoscono zoccoli e basti.
Anche la gran madonna dell’Incile è tornata contadina
non più fantasma di pietra bianca del serpente-padrone
e laddove asini e muli tiravano carretti e vignarole
danzano benne d’acciaio abbracciando prodigi di lavoro.
C'è un passaggio fondamentale in Fucino mio paese che illustra meglio di
qualsiasi mia parola questo aspetto, che è anche, a mio avviso, il
motivo fondamentale della poetica di Romolo Liberale:
Mio padre non amava la sua terra
e cercava il suo destino
sul palmo della mano rugosa
di una zingara ubriaca.
Ma come può esservi nostalgia in chi sa cosa era, ed è
tuttora per tanta parte, il mondo contadino? La lucida, appassionata
consapevolezza della realtà impedisce a Romolo Liberale di essere
nostalgico. Una realtà, tra l'altro, di stenti e di freddo. Il freddo
implacabile del Fucino, la tramontana che soffia da Forca Caruso (questa
è una costante del poema), il camino spento.
La passività degli uomini? Ma la passività di
questi uomini, il loro bisogno di fuggire e di cercare il destino nella
superstizione (come è presente l'elemento superstizione nella storia
anche recente del mondo contadino!) si riscatta nel momento in cui essi
prendono coscienza di sé, nel momento della lotta.
Quando apparvero per la strada
i primi clamori e i primi canti
capii che il destino di mio padre
e della gente del mio paese
era nella terra del Fucino.
E’ qui la chiave, io credo, per comprendere la poetica di Romolo
Liberale; non solo, ma tutta la sua personalità cosi ricca. Romolo
Liberale è un poeta, ma non solo poeta; egli è impegnato politicamente
nel movimento, per il riscatto della sua gente. Vorrei dire che è poeta
perché è politico. E politico nel senso più alto del termine, che
manifesta il suo impegno come militante, dirigente, studioso e storico, e
soprattutto come educatore, come compagno che ascolta.
Un uomo è Tommaso. Lo chiamo compagno. Compagno
mi chiama. E mi piace sentire compagno Tommaso.
Romolo Liberale lo conosciamo tutti. E’ stato presente qui a
Pescasseroli con la compagna della sua vita, la nostra compagna Mirka,
in tutti i momenti cruciali e importanti, cosi nelle vittorie come nelle
sconfitte, a costruire con pazienza e tenacia infinite il partito (il
PCI) anche a Pescasseroli, come in tanti altri centri del Fucino. E non
meravigli il richiamo, in questa occasione al suo impegno nel partito,
per il partito. Come ho detto, in Romolo Liberale questo impegno entra a
far parte integrante della sua esperienza poetica. D'altra parte, se
oggi a Pescasseroli, nella sala comunale, si realizza questa iniziativa
che si inquadra nell'impegno dell'amministrazione democratica per la
battaglia culturale è per merito anche di Romolo Liberale che certamente
nella Marsica è stato ed è uno dei protagonisti fondamentali di questa
battaglia.
Dirigente del partito comunista e dell'Alleanza dei contadini, uno degli
animatori delle lotte del Fucino che portarono nel 1950-51 i contadini a
strappare a Torlonia le terre, Romolo Liberale ha scritto poesie in
dialetto e in lingua, pubblicate in varie raccolte, ottenendo numerosi
premi e riconoscimenti. Attento interprete, oltre che protagonista, di
quelle lotte, egli è anche uno dei più autorevoli studiosi che hanno
operato una ricostruzione della storia del movimento contadino del
Fucino e di tutto I'Abruzzo. Lo dimostrano, tra l’altro, i suoi saggi
più recenti: quello pubblicato nella collana di saggistica delle
Edizioni dell'Urbe su Il movimento contadino del Fucino - Dal
prosciugamento del lago alla cacciata di Torlonia e quello già citato
pubblicato di recente da De Donato nell'opera collettiva curata da
Francesco Renda su Movimento contadino e lotte popolari in Abruzzo dal
1944 ad oggi.
Le lotte per la terra hanno influenzato profondamente Romolo Liberale
come, io credo, ogni compagno, ogni contadino che vi prese parte. Le
esperienze entusiasmanti, ma anche tremende, non potevano non lasciare
un segno indelebile. In quella circostanza Romolo Liberale venne anche
arrestato e processato. E in carcere maturano e vengono scritti alcuni
canti del poema Fucino mio paese che oggi qui presentiamo e che è stato
stampato nel 1977, sempre per le Edizioni dell'Urbe, e con un apporto
appassionato del titolare Patrizio Graziani. Fucino mio paese è appunto
la rappresentazione poetica della lotta vittoriosa di un popolo contro
un principe: del popolo del Fucino che strappa a Torlonia le terre su
cui quattro generazioni contadine costruirono per lui:
un regno con fatiche senza canto
pensando lontane albe di speranza
entro lunghi tramonti di pena
La vicenda del Fucino è un momento, assai significativo, delle lotte per
la terra esplose all'indomani della seconda guerra mondiale. Sono lotte
aspre che si ricollegano ad altre precedenti: alle lotte secolari
contro le usurpazioni baronali dei diritti delle popolazioni. Anche nel
Fucino abbiamo avuto un'usurpazione: sul lago esistevano da sempre i
diritti di pesca delle popolazioni ripuarie. Con il prosciugamento
Torlonia ottenne tutto e alle popolazioni non restò nulla: quei diritti
di pesca non furono né liquidati né convertiti. Non solo, ma al
prosciugamento conseguirono lutti e fame: conseguì il terribile
terremoto (e, probabilmente, non fu solo un collegamento cronologico),
la malaria, I'inaridimento delle colline circostanti un tempo fertili di
olivi e di vigne.
Gli olivi e le uve morirono con i pesci e le reti
e quando il sangue scomparve dalle vene del lago
le tempie fredde della nostra terra muta e ferita
chiesero all’uomo baci d’amore e nuove primavere.
Allora il fango e acquitrino diffusero nascosti veleni di morte
Queste lotte, inoltre, richiamano e si ricollegano ai moti a cavallo del
secolo, alle rivendicazioni del primo dopoguerra: rivendicazioni
dirette a ottenere un diverso assetto fondiario, più equi rapporti di
produzione, e stroncate nel sangue dal fascismo nascente. Sono lotte che
adesso, dopo la seconda guerra mondiale, riesplodono più aspre e forti:
il ventennio fascista, bloccando (se così si può dire) il corso della
storia, ha aggravato i problemi; la guerra ha reso ancor più misere le
campagne italiane e con il suo tributo di sangue e di stragi ha
sottratto a esse forze rigogliose: anche nella nostra zona, anche nel
Fucino, la guerra sparge miseria e lutti. Chi non ricorda le stragi di
Pietransieri e di Capistrello? Proprio sui fucilati di Capistrello
Romolo Liberale ha scritto un'ode bellissima:
Salivano sui monti conosciuti
come salgono i pensieri nel tempo
come salgono le parole dei poeti
e salgono le preghiere dei fedeli
e salgono i sentimenti dei puri.
Erano trentatré come gli anni di Cristo
che si consumano nelle ultime ore
dello spasimo, dell’agonia e della morte
E parliamo della situazione politica. Al biennio 1944-45, con Gullo
ministro dell'agricoltura, nel corso del quale sono proprio i
provvedimenti governativi ad affrontare direttamente i problemi
scottanti (blocco delle disdette, terre incolte, canone e riparti dei
prodotti) e a innescare il movimento di riforma dell'agricoltura,
succede il biennio 1945-47, con Segni ministro dell'agricoltura, che
tende a frenare questo movimento, un movimento che, sia pure
stentatamente e con molti limiti, era presente anche nelle nostre zone
come ci attesta Romolo Liberale - e a stemperare, nell'applicazione, la
portata innovativa di quei provvedimenti. Poi, nel 1947, la rottura
dell'unità nazionale nel governo dell'Italia e le elezioni del 1948. E’
questo il momento in cui il padronato agrario approfitta della
favorevole congiuntura politica e si chiude completamente al movimento
nelle campagne. Ed è questo, di conseguenza, il momento in cui gli
scontri si fanno sempre più aspri e sanguinosi.
Ai morti contadini di Melissa, di Torremaggiore, di Montescaglioso,
vanno ad aggiungersi i nostri morti abruzzesi: di Lentella e di Celano.
Anche il Fucino infatti paga il suo tributo alla cieca politica in
favore del padronato agrario. Un tributo che era già iniziato anni
prima, il 16 ottobre 1944, quando Domenico Spera, un contadino povero di
Ortucchio, era caduto in una imboscata tesa contro la popolazione che
si recava festante ad occupare un'azienda di Torlonia che il principe
non intendeva mettere a coltura. Fu, quel triste episodio, l'inizio di
un movimento di popolo contro l’Eccellentissima Casa Torlonia
(l’eccellentissima saccheggiatrice la chiama Romolo Liberale): un
movimento volto a liberare i contadini da quel “tallone di Ferro”, da
quella “morsa a tre ganasce” per cui lo sfruttamento operato dal
principe assumeva la forma di un ciclo completo: l’alto fitto della
terra, la Banca del Fucino con i suoi esosi interessi, lo zuccherificio a
cui i contadini dovevano consegnare il prodotto; una situazione che il
famigerato Lodo Bottai l’“unghiato” lodo del 1929 (ancora vigente),
aveva contribuito ad aggravare.
Vivissime sono le pagine che Romolo Liberale dedica a queste lotte nel
suo saggio che ho prima citato su Il movimento contadino del Fucino. E
in queste lotte, durante un entusiasmante sciopero a rovescio, mentre
Torlonia comincia a vacillare ed è costretto a firmare un accordo
favorevole ai contadini, avviene l'eccidio di Celano. Ecco come lo
racconta Romolo Liberale:
I “cafoni del Fucino”non avevano ancora assaporato la vittoria, quando
nella piazza di Celano riecheggiavano, la sera del 30 aprile 1950, colpi
di fucile e di pistole contro i braccianti. In una feroce imboscata,
riapparve il volto della reazione agraria:i fascisti e carabinieri
spararono contro i lavoratori che attendevano di sapere se erano stati
prescelti per il turno di lavoro nel Fucino in applicazione
dell'imponibile..'Tra i numerosi feriti,in un clima di rabbia e di paura
nello stesso tempo, Agostino Paris e Antonio Berardicurti, due
contadini poveri di Celano, furono barbaramente trucidati. E gli
sconfitti si presero una sanguinosa rivincita.
Ma si trattava degli ultimi sussulti di una reazione cieca e vile. Il
movimento riprende forte e impetuoso e strappa al Governo il decreto per
l'applicazione della legge stralcio nel Fucino. Così il 1° marzo 1951,
la Gazzetta Ufficiale pubblica l’atto che porterà alla cacciata di
Torlonia dalle terre del Fucino:
e con i giorni del Cinquanta costruimmo nuovi chiarori.
E questa lotta che Romolo Liberale canta, con passione e con slancio,
con versi dolci e amari, con immagini soavi e violente, in Fucino mio
paese; è questa lotta che racconta anche, e illustra e documenta, nei
numerosi convegni di ricerca storica ai quali è invitato e partecipa con
impegno e passione; e sono i risvolti umani e ideali di questa lotta
che egli testimonierà, ne siamo certi, all'Università di Roma dove la
lezione-omaggio per la chiusura dell'anno accademico alla facoltà di
sociologia, il prossimo 15 maggio, sarà dedicata, ad iniziativa del
prof. Corrado Barberis, proprio al poema Fucino mio paese, presente
l'autore. Per questo egli è poeta del Fucino e del movimento contadino
del Fucino.
Ma, abbiamo detto, la lotta del Fucino fa parte di un
dramma, di un'epopea generale: quella di tutti i contadini del mondo che
lottano per la terra. E questa epopea egli canta in termini universali.
Così, se Romolo Liberale è poeta fondamentalmente abruzzese, non lo è
certo nel senso “folcloristico" del termine, ma nella dimensione poetica
di chi sa dare una voce alla storia amara di una gente da secoli
sopraffatta ed emarginata, e, nello stesso tempo, “sa trascendere,
grazie alla dimensione lirica che riesce a far emergere dalle immagini,
dal fatto concrete o dal lato occasionale” (Francesco Adornato) e
assurge a interprete universale. Queste considerazioni che sono state
fatte per un altro poeta meridionale, il calabrese Franco Costabile,
queste stesse considerazioni si possono fare per Romolo Liberale.
Ma il Fucino ha una specificità che Romolo
coglie all'inizio del poema con versi che ci immettono subito
nell'universo della sua poesia:
Cos’é questo Fucino
dove ogni inno è un grido
ogni parola è un fatto
ogni gioia chiede dolori
ogni minuto diventa storia?
Cos’é questo Fucino
dove anche i vapori
hanno la durezza della pietra
ogni stretta di mano
è un giuramento di sangue
ogni preghiera
è anche una maledizione?
Un verso soprattutto, cosi potentemente incisivo, scolpisce la storia del Fucino :
E’ una terra che fu lago.
Romolo canta la storia di un paese che non ha monti né mare
la storia di una terra che è
terra di principi saccheggiatori
e di api in cerca di luce e di profumi.
che è
ricamo di spighe e di verde
ed è parola di oscuri racconti
dispiegati su una tela che si chiama Fucino
.
Sentiamo dalla viva poesia di Romolo Liberale la storia vera del Fucino, la storia proprio del Fucino:
A sud del mio paese c’era un lago
e il nome del lago è storia della mia gente.
Nel lago si specchiavano le cime bianche del Velino.
Oggi la luna non si specchia nel lago
ma guarda i canali e il verde
illumina le stagioni contadine del Fucino
e l’acqua che corre senza fine
come corre la storia.
E nella storia
gli uomini si fanno uomini.
Quest'ultimo verso:
E nella storia gli uomini si fanno uomini
ntroduce un'ultra verità che Romolo Liberale esprime
in versi e immagini crude e nello stesso tempo altamente liriche. Nella
lotte al principe saccheggiatore il popolo scopre di essere soggetto
storico fondamentale. Finora, fin quando cioè il popolo aveva subito il
potere dei potenti, dei principi e dei feudatari, era come se fosse
rimasto fuori della storia. Noi sappiamo che non è così, che la storia
non l'hanno fatta solo i potenti, ma nella storiografia ufficiale
(quella che ci ha educati e nutriti) così è stato. Nel momento in cui
scoprono se stesse e iniziano a esprimere il proprio potenziale di
lotte, le masse dei lavoratori si pongono, consapevolmente, come
protagoniste della storia. Il passaggio non è certo né indolore né
facile, perché chi si è imposto come protagonista non accetta di essere
messo al margine.
Cosi Torlonia non cede. Ma a costui il poeta chiede imperiosamente:
Chi sei tu?
Chi ti ha detto che la storia
dorme perenne nel tuo ventre satollo?
Non è vero principe.
Ed è il poeta stesso a rispondere:
Chi sei tu lo so.
So che tu non fermerai il tempo
so che la storia
non sarà inghiottita dal tuo mondo
che ha il cuore dietro l’ombelico.
Non m’importa il tuo volto
non m’importa il tuo nome.
Nella consapevolezza di questa appropriazione arbitraria della storia da
parte del principe è l'origine della maledizione (pp. 20-21-22 di
Fucino mio paese). La maledizione è liberatoria. All'invettiva succede
il silenzio: dopo la notte viziosa del principe, il silenzio del giorno;
dopo il giorno di fatica dei contadini, il silenzio della notte. E dal
silenzio fiorisce il canto che è anche invocazione:
Io chiedo un canto per darlo alle mie parole
e chiedo parole per scaldare
gli angoli del mio paese
Chiedo parole che dicano
che ogni contrada della mia terra
attende uragani e bandiere
da donare ai giorni dell’uomo
perché si unisca al fratello
e accorra a mietere il grano
laddove seminammo le nostre speranze.
E il canto dell'uomo che lotta, di uomini che lottano insieme, e perciò il canto della speranza.
Ho prima accennato a un altro poeta fortemente
radicato nella vita e nell'esperienza della sua gente, un altro poeta
fortemente e autenticamente popolare: Franco Costabile. Ma la sua poesia
si è risolta, come è stato detto, in una "interiorizzazione" e, per
questo, nell'accettazione inconsapevole della propria arretratezza alla
quale non si dà altro sbocco se non quello di una proiezione
fotografante, documentaria (Pasquino Crupi) e nel suo caso specifico,
anche una risposta tragica: Costabile è morto suicida a poco più di
trent'anni. Questo confronto (ma altri se ne potrebbero fare) è
opportuno per sottolineare come Romolo Liberale debba essere considerato
poeta della speranza, di una speranza laica che nasce appunto dalle
lotte e dalla consapevolezza della forza dei lavoratori, della giustezza
delle loro posizioni. Ma il senso della lotta non è la cacciata del
principe usurpatore fine a se stessa: la lotta dei lavoratori non è la
violenza cieca e brutale che si chiude in sé in una spirale d'odio senza
fine (ciò è bene dirlo oggi che in questa spirale il terrorismo intende
cacciarci tutti). Ed è la poesia di Romolo Liberale che ce ne offre il
significato. E ritorna insistente I'invito all'uomo
perché si unisca al fratello
e accorra a mietere il grano
laddove seminammo le nostre speranze
Ed è sempre Romolo Liberale che canta I'uomo, I'uomo che affida alla lotta le proprio speranze, I'uomo
che si ribella
in nome degli uomini
Poeta della speranza e perciò dell'uomo. Nella speranza nasce il
profondo umanesimo di Romolo Liberale. Ce ne dà la misura il brano
poetico su Tommaso, il compagno che
sa dire parole di roccia e di sole. Parole
sa dire che sanno di terra che dicono l’uomo. Pensieri parole che accendono il cuore....
su Tommaso che
.... racconta ricordi
l’aratro di legno la fame la guerra che uccide; la lotta
sofferta che crea momenti di gioia; i piedi gelati
le gambe dolenti su duri pedali....
su Tommaso che ricorda lo sciopero, quando "si scene al lavoro", lo sciopero a rovescio, e ricorda
i picchi le zappe il badile la jeep infuriata
le ostili divise i mitra impazziti il fuoco di piombo
le urla la rabbia . . . E i morti i corpi raccolti tra pozze
di sangue e il pianto e le donne vestite di nero i figli
smarriti le ore sommerse dai lutti le ore spezzate
ed a pezzi raccolte e composte nel tempo che passa
invocando speranze....
E, prima ancora, il brano su Andrea:
Quando parlo ad Andrea mi piace guardarlo negli occhi.
.. E’ bello star tutti
a sentire parole che sembrano portate da un vento lontano
che ci fanno sentire vicini...
Ed è nella risposta al perché di Andrea che Romolo Liberale, militante oltre che poeta, offre la ragione del suo impegno:
Il perché sei tu stesso sta in quello che pensi e che fai
ogni giorno. Il sorriso contadino di Andrea si allarga
una mano sulla spalla mi guarda negli occhi. Poi dice:
ho capito. E guardiamo il ruscello che corre, che corre...
Chi conosce Romolo Liberale sa che questo umanesimo è la parte
essenziale della sua personalità: sa perciò che il senso dell'uomo,
dell'amicizia, il rapporto con i compagni, non è mai costretto dalla
"ragione politica", ma è una cosa sola col suo impegno di militante, di
dirigente, di educatore. Ce lo dice lui stesso col suo linguaggio di
poeta:
Non parlate dell’uomo
come della nebbia e della roccia
.
Parlate dell’uomo come parlate dell’amore
Non parlate dell’uomo come delle vostre abitudini
Le abitudini non danno pensieri
e dormono malinconiche dentro i silenzi.
Parlate dell’uomo come delle stagioni
che non danno ma chiedono giorni.
Molte altre cose sarebbe necessario dire sulla poesia di Romolo
Liberale Sarebbe necessario esaminare come egli si colloca all'interno
del filone poetico popolare, a torto trascurato dal grande pubblico e
dalla critica ufficiale, ma che è grande parte dell'animo del nostro
popolo, che è grande parte della storia culturale del nostro paese. Ho
accennato a Costabile, ma dovrei ricordare altri: Rocco Scotellaro,
Carlo Levi e altri ancora. Sarebbe altresì necessario esaminare come si
colloca all'interno della cultura abruzzese, rapportarlo in particolare a
chi ha cantato, in prosa o in versi, i luoghi e il popolo della
Marsica: mi riferisco a Ignazio Silone, anch'egli cantore dei "cafoni"
del Fucino; mi riferisco anche, ma per contrapposizione, a D'Annunzio:
anche nella poesia di D'Annunzio compaiono luoghi e personaggi delle
nostre zone (si pensi alla Fiaccola sotto il moggio). Ma quale distanza
tra i due mondi! Il passato e il futuro: il passato è il mito, il futuro
è la speranza.
E poiché siamo qui a Pescasseroli, voglio cogliere questa occasione per
invitare I'amministrazione comunale a farsi promotrice di una scoperta,
anzi di una riscoperta: il poeta pastore di Pescasseroli Cesidio Gentile
detto Jurico. Dopo le cose dette di lui da Benedetto Croce in appendice
alla Storia del Regno di Napoli (1924), e che pure fanno intravedere un
mondo poetico ricco e affascinante, io credo che non si sia scritto o
ricercato più nulla. Proprio ricollegandoci al messaggio che ci proviene
da Romolo Liberale, che la storia e la cultura è anche quella del
popolo, penso sia doveroso riappropriarsi collettivamente di questo
patrimonio; e anche riscrivere la storia del nostro popolo attraverso la
sua testimonianza poetica. E può essere anche il modo di scoprire altri
poeti locali - penso ad esempio a Orazio Tarolla di Barrea - o far
rivivere poeti più antichi come Benedetto Virgilio di Villetta Barrea.
Ma non sarò certo io, che non sono un critico letterario, a soffermarmi
sulle caratteristiche del linguaggio poetico di Romolo Liberale. Chi ha
letto i suoi versi ha compreso direttamente la forza di tale linguaggio,
la bellezza di certe immagini. Con la dizione di Enrico Lazzareschi
(conosciuto per le sue prestazioni alla RAl-TV), di Lucio Di Pasquale
(animatore e organizzatore di recitals specialmente nella scuola), dello
stesso editore Patrizio Graziani (il quale, da ottimo dicitore, vorrà
leggerci qualche lirica), potremo entrare meglio nella poesia di Romolo
Liberale. Certo, vorrei poter comunicare a voi le sensazioni provocate
in me da certi versi come:
Io conosco le acque del Giovenco
dove si specchiano i colori delle stagioni
e si specchiano le aurore e i tramonti del Fucino
o come questi che denotano una conoscenza intima della natura che si fa amore fecondo:
Questa notte in mezzo al grano
è nato un poeta
o come i sonetti dell'intermezzo dedicati alle quattro stagioni del Fucino o come ancora quelli che evocano ricordi struggenti:
Ricordi il grano fatto della Chiusa
E poi le immagini soavissime di donne, come la fragolaia di Venere
Aveva gli occhi color di prato a primavera
e la bocca come una melagrana aperta.
Non voglio insistere con le citazioni. Ma consentitemi di concludere con
un quesito: quale è l'insegnamento che ci proviene dalla poesia di
Romolo Liberale, che proviene a noi
figli di questa terra amata avara d'amore?
Potrebbe sembrare strano e fuori luogo un interrogativo di tal genere;
potrebbe significare voler degradare un'intuizione autentica, almeno ove
si ritenesse che l'atto estetico sia pura intuizione. Faremmo però
certamente torto a Romolo Liberale se non ci rendessimo conto che la sua
poesia, proprio perché nasce dal suo impegno verso l'uomo, di questo
impegno si nutre:
Amate il poeta
amate il suo canto
amatelo solo voi che sapete
che i poeti nascono
perché l’uomo non dimentichi
di essere uomo.
se non ci rendessimo conto che questo è il suo desiderio e la sua volontà.
Vorrei che la mia voce
avesse la forza di mille tuoni
per gridare a voi
contadini del Fucino
che per essere bisogna sapere
e per sapere bisogna essere.
Solo così i vostri passi
segneranno il cammino dei giorni.
E allora abbiamo il dovere di cogliere in tutta la sua pienezza la
lezione che egli ci offre: ed è la lezione di chi, consapevole delle
conquiste ottenute, ci dice, ci chiede di non disprezzare il presente
anche se amaro, anche se non ci soddisfa, perché su questo presente
dobbiamo costruire il futuro.
E’ vero figli miei
inizia il poeta conversando con i figli; e poi ammonisce:
Il tempo
ricordatelo figli miei
è anche tutto quello che ci portiamo dentro
Quello che è venuto lo cercammo
E avremo quello che cercheremo...
E dunque la lezione di una continuità nella storia del movimento dei
lavoratori, di un futuro che nasce dal presente, di un presente che è a
sua volta frutto del passato, e questa lezione il poeta l'affida
all'ultimo bellissimo canto del suo poema. Troppe volte, forse per
l'irrompere sulla scena di nuovi problemi, di nuovi ceti sociali,
riteniamo, all'interno del movimento, di poter prescindere dal passato,
dagli uomini che questo passato hanno costruito e che, forti del proprio
bagaglio di lotte, di esperienze, di umanità, vogliono continuare a
dare un contributo. Ma sono proprio costoro che, per ciò che
rappresentano, possono venire.
...a spandere giovani seminagioni
come il poeta chiede.
Le parole che vi dico nacquero dall’idioma delle nonne
e mi entrarono nel cuore come tagli di falci affilate
e come i fiori delle siepi spinose del Fucino.
Con quelle parole vi dico che cerco ancora
come ho cercato sempre nella rossa casa dei miei sogni
angoli di luce immacolata dove non v’è posto per magie e pugnali
e dove il nome alto che ci demmo non porta segni di congiure.
Ecco, io credo che i versi terribili e altamente lirici che chiudono il
poema sono per noi, che abbiamo abbracciato quella bandiera che è la
bandiera di Romolo Liberale, che è stata ed è la bandiera dei contadini
in lotta nel Fucino come nel resto d'Italia, di incitamento a continuare
con eguale impegno.
perché i pugni che levammo per le strade
non ci rimangano crocifissi nel petto.
created with
Website Builder Software .